Fra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000, Luciana conobbe Alberto, un italiano della sua età che viaggiava spesso a Cuba. I due divennero amici e nonostante l’isolamento a cui l’isola era sottoposta, cominciarono a tenersi in contatto. Per ovviare al fatto che telefonare era troppo costoso e Luciana non aveva accesso a internet né aveva un indirizzo email, avevano escogitato un modo ricercato ma efficace: una sorella di Luciana era emigrata a Parigi e un suo cugino faceva il pilota e volava spesso a Parigi, quindi Alberto scriveva una lettera, la spediva per posta all’indirizzo parigino della sorella di Luciana, questa la consegnava al cugino quando lui era di passaggio, che una volta tornato a La Habana la portava a Luciana. Lei invece per rispondere faceva tutto il percorso inverso. Era laborioso, ma funzionava.
Lettera dopo lettera, visita dopo visita, Luciana e Alberto si resero conto che la loro amicizia stava cambiando forma e somigliava sempre di più all’inizio di un amore e decisero di tentare la sorte e provare a stare insieme. Alberto quindi inviò a Luciana una lettera d’invito per andare a fargli visita in Italia.
Era la mattina del 13 febbraio 2002 quando Luciana ricevette ufficialmente la sua lettera d’invito da quello che sarebbe diventato ed è tuttora, suo marito. In famiglia si poteva già sentire l’allegria adrenalinica delle nuove possibilità e portandosi dietro questa sensazione Luciana si vestì e uscì di casa, pronta per affrontare la tortuosa e impervia strada della burocrazia cubana.
Il primo posto in cui si reca è l’ufficio di immigrazione con la lettera d’invito e il suo passaporto. Senza fretta alcuna, un’addetta inizia a verificare il suo caso e a controllare i suoi documenti. Arrivata a controllare la carta d’identità, l’addetta si rende conto che, nonostante Luciana abbia già 37 anni, alla voce “professione” la sua carta d’identità dice ancora “studentessa”
“Lei è studentessa?”
“No, non son...”
“Qui dice che è studentessa”
“Beh, non…”
“Deve recarsi all’ufficio delle carte d’identità con questo formulario in cui ci sono tutti i campi e far aggiornare la voce ‘professione’”.
Luciana allora prosegue il suo pellegrinaggio di ufficio in ufficio, appena iniziato, e con il formulario compilato parte per farsi aggiornare la carta d’identità.
“No, niña, no. Figurati se quello sarà un problema, non c’è bisogno di aggiornarla”, afferma la funzionaria dell’ufficio, una volta che Luciana le mostra i documenti e le spiega la questione.
“È sicura? Quando mai si è vista una studentessa di 37 anni, scusi?”
“L’età non c’entra niente, sono sicura”.
Luciana conosce bene la burocrazia del suo paese e non è affatto convinta di quello che le ha detto la funzionaria dell’ufficio, ma dato che quest’ultima non pareva aver voglia di aggiornarle la carta d’identità in nessun caso, fu costretta ad andarsene e a tornare agli uffici di immigrazione.
Ancora una volta, l’addetto presente quel mattino a cui lei consegna tutte le carte si occupa di controllare che sia tutto in ordine e durante il controllo, nota l’errore:
“Lei è ancora studentessa?”
“No, non son...”
“Qui dice che è studentessa”
“Sì, lo so, ma all’uffic...”
“La carta d’identità così non va bene, la deve aggiornare”.
“Guardi, ci ho provato, ma all’ufficio competente hanno insistito sul fatto che non era necessario o che non potevano aggiornarla, non lo so, e io non ho potuto fare altrimenti”.
“Per avere il permesso per viaggiare in Italia deve aggiornare la voce ‘professione’, non c’è altro modo”.
Già alquanto infastidita, Luciana chiede come può fare ad aggiornare la voce.
“Devi chiedere una lettera firmata dal rettore della tua università in cui si certifica che non sei più studentessa di suddetta università”.
“Una lettera firmata dal rettore?! Ma è impossibile avere un appuntamento con il rettore!”
“Questo è l’unico modo”.
Demoralizzata, Luciana torna a casa, pensando a come diavolo avrebbe fatto a parlare con il rettore in persona e convincerlo a firmargli una lettera, se già era difficile convincere un’addetta dell’anagrafe a fare quello che avrebbe dovuto fare in una sua normalissima giornata lavorativa.
Una volta a casa, Luciana riceve una telefonata da Alberto. Le schede telefoniche sono care e durano pochi minuti ma che bello potersi parlare! A tutta velocità per non far scadere i minuti, Luciana spiega a che punto è con la richiesta per viaggiare in Italia: “cartadidentitàstudentessarettoreletterafirmata”.
“Come?”
“cartadidentitàstudentessarettoreletterafirmata”
“Capisco aggiornare la carta d’identità, ma che c’entra il rettore? Non dovrebbe passare da un ufficio pubblico?”
“Certo, dovrebbe, ma ormai mi hanno chiesto la lettera firmata e non accetteranno nient’altro”.
“Bah.. non vedo cosa c’entri il rettore...”.
Il passo successivo quindi resta quello di recarsi alla vecchia università e chiedere se, di grazia, è possibile parlare con sua signoria il rettore in persona. Nutrendo ben poche speranze e aspettandosi la prossima scusa per ritardare il suo permesso, Luciana si avvicina alla segretaria all’ingresso e la saluta, chiedendo se è possibile prendere un appuntamento con il rettore. La segretaria la guarda con sorpresa:
“Luciana, non ti ricordi di me? Sono Juana, io lavoravo per tuo padre!”
“Juana, non ti avevo riconosciuto! Pensa te, lavori qui adesso quindi?”
“Sì, è già qualche anno ormai. Dimmi, perché devi vedere il rettore?”
Luciana comincia a spiegare a Juana che qualche settimana fa ha ricevuto una carta d’invito per fare un viaggio in Italia per andare a trovare un caro amico, ha iniziato a fare richiesta di tutti i documenti necessari e non ne manca nessuno, ma la sua carta d’identità non è mai stata aggiornata e reca ancora la dicitura studentessa e dall’ufficio immigrazione dicono che l’unico modo per eliminare quella dicitura è una carta firmata dal rettore che certifica che lei non è più una studentessa di quell’università.
“Ah... capisco... ti potrai immaginare che non è facile ottenere quest’ appuntamento, ma se me lo permetti posso occuparmi personalmente della faccenda e fare il possibile per farti arrivare quella lettera”.
Luciana esce dall’università con la sensazione di aver finalmente trovato qualche santo in paradiso e, almeno per stavolta, torna a casa con un pensiero in meno.
Dopo una decina di giorni d’attesa, Santa Juana le fa arrivare la lettera firmata dal suo superiore che conferma che il suo stato di studentessa appartiene ormai al passato.
Con l’attestazione appena ricevuta, Luciana torna all’Ufficio Immigrazione per integrare i documenti necessari per la richiesta di espatrio. All’ufficio le confermano che il documento è accettabile e adesso si può aggiornare la sua carta d’identità, ma mentre lei era impegnata sul fronte universitario, loro nel frattempo controllavano il suo expediente. L’espediente a Cuba è una sorta di cartella clinica del cittadino, non della sua salute bensì di tutto ciò che riguarda la sua vita personale: studi, famiglia integrata (ovvero filogovernativa) o gusana (ovvero controrivoluzionaria), amicizie, lavori svolti, eventuali viaggi all’estero, se è iscritta al partito comunista oppure no, eccetera.
Dal controllo del suo espediente risultavano due cose: la prima era che lei fra il 1988 e l’89 faceva parte di un corpo militare e la seconda che non aveva mai viaggiato all’estero prima di allora. Entrambi erano motivi validi per fare controlli ulteriori e prolungare il processo di richiesta del permesso.
“Non vi risultano viaggi all’estero? Non è possibile, io sono stata in Spagna nel 1995 con regolare permesso rilasciato da voi, non ve lo siete segnati?”, chiese Luciana, che si è sempre fatta pochi scrupoli nel rispondere a tono alle cariche statali.
“A noi non risulta nessun viaggio in Spagna né da nessuna parte, ma resta il fatto che lei faceva parte di un corpo militare, quindi devono essere i militari a valutare il suo caso”.
“Ma io non sono militare, è stato solo per un breve periodo quando si sono fatte la gare femminili di equitazione alle Spartachiadi, io sono amazzone, non militare”.
“A noi risulta che lei è militare, quindi il suo caso deve essere valutato dalla compagna Capitana Enríquez Sala”. Porgendole un bigliettino con su scritto una data, un’ora e un luogo, aggiunge: “si presenti qui e parli con la capitana”.
Luciana, per la seconda volta, esce dall’Ufficio Immigrazione senza un permesso per viaggiare in Italia e con sempre meno speranza di ottenerlo mai davvero. È pervasa dalla frustrazione per l’impotenza che si prova davanti a quegli ufficiali che pensano di poter tenere in mano la tua vita grazie a due fogli di carta e di poterne fare quello che vogliono loro, solo perché ti parlano da dietro un vetro e hanno una divisa. È stancante.
“Luciiiii, corri, c’è Alberto al telefono!”
“Arrivo!!”
...
“Alberto!”
“Luci! Come sta andando, dimmi, presto!”
“Male, Alberto, stavolta mi hanno detto che devo andare da una Capitana dell’esercito a far valutare il mio caso”
“Da una Capitana? Ma tu devi soltanto fare una vacanza in Italia, cosa c’entrano i militari?”
“Sì però qualche anno fa, quando facevo equitazione, per poter introdurre le gare femminili di equitazione alle Spartachiadi...”
“Cosa sono le Spartachiadi?”
“Erano le Olimpiadi dell’Unione Sovietica. Per poter introdurre l’equitazione mi hanno chiesto di entrare a far parte di un corpo militare e adesso per loro è sufficiente come scusa per mandarmi in un altro ufficio ancora...”
Era difficile far capire a Alberto, nato e cresciuto in un paese agiato e democratico, che nella sua isola socialista invece lo stato faceva il possibile per mantenere il controllo su ogni singolo cittadino, a costo di usare stratagemmi la cui logica sfuggiva ai più.
Dopo alcune settimane, arrivò finalmente il giorno dell’appuntamento con la Capitana Enríquez Sala, davanti al cui ufficio Luciana si presentò, pronta a spiegare ancora una volta il motivo della sua richiesta e a presentare nuovamente tutti i documenti necessari.
“Buenos días, compañera”.
“Buenos días, Capitana Enríquez Sala, come probabilmente già sa, sono qui per presentarle la richiesta formale di permesso per fare un viaggio all’estero, nello specifico in Italia, poiché ho ricevuto una lettera d’invito da parte un amico che ha viaggiato molto spesso a Cuba e adesso vorrebbe farmi conoscere il suo paese. Qui può vedere la lettera d’invito, la mia carta d’identità aggiornata, il mio passaporto e tutti gli altri documenti, eccoli qua, non manca niente”.
“Perfetto, capisco, lasci che prenda io i documenti. So anche che è qui per controllare alcune cose non chiare riguardo al suo espediente e quelle cose vanno verificate, prima di essere sicuri di poterle dare il permesso d’uscita... e per quello ci vorranno circa 45 giorni”.
Al sentire quel numero, Luciana sente il pavimento mancarle da sotto i piedi. 45 giorni, un mese e mezzo, non è possibile. Sono quasi 5 mesi che passa di ufficio in ufficio, di funzionario in funzionario, senza ottenere niente, e adesso le dicono che vogliono riservarsi altri 45 giorni per darle un sì o un no.
“Bene Capitana” dice Luciana “lasci perdere, non si scomodi, quel permesso non arriverà mai” e scoppia in lacrime.
Vedendo piangere quella sconosciuta davanti a lei, la capitana si sorprese e si sentì leggermente in imbarazzo. Non sapeva bene come reagire davanti a quella donna forse militare forse no e alla fine optò per chiedere un timido “compañera, ma perché piange?”.
“Perché sono mesi, mesi, che vengo sballottata di ufficio in ufficio, vi prendete gioco del mio tempo come se vi appartenesse e della mia persona e mi trattate come una prostituta. Non volete darmi il permesso? Ditemelo e basta!”.
Dopo questo sfogo, Luciana, con gli occhi ancora arrossati e la sensazione nello stomaco che non avrebbe lasciato le sponde di quell’isola mai più, si congedò dalla capitana, ancora scossa e sorpresa e se ne tornò a casa sua.
Il giorno dopo, la capitana Enríquez Sala telefonò personalmente a casa di Luciana per dirle che il suo permesso era pronto. Poteva passare dall’ufficio a ritirarlo.
Finalmente, dopo circa 5 mesi di attese e rinvii, a luglio del 2002, Luciana potè salire su un aereo diretto in Italia a conoscere il paese dell’uomo che avrebbe sposato. Non conosceva ancora bene la lingua, ma le era rimasta impressa un’espressione: “che c’entra?”.
Con las historias de Cuba, tienes tema para escribir una Enciclopedia 🤦🏻♀️. Las estoy disfrutando mucho, porque todos hemos vivido situaciones de ese tipo. Me gusta mucho como escribes Fabi. Besitos 😘
È stata fortunata a trovare una persona con ancora un briciolo di umanità, meno male! Ma quante frustrazioni, poverina. Che ingiustizia non essere padronə della propria vita.